lunedì 18 ottobre 2010

Celiachia e dieta


La celiachia è una intolleranza alimentare. La celiachia è anche detta enteropatia da glutine ed è caratterizzata da un'intolleranza a questa proteina presente in alcuni cereali quali grano, orzo, segale e avena. L'assunzione di glutine in individui predisposti causa danni a carico dell'intestino tenue con conseguente malassorbimento, diarrea, dimagrimento, malattie della pelle e anemia. Per chi soffre di celiachia, patologia che impone a coloro che sono intolleranti al glutine di non mangiare alimenti contenenti grano, orzo, segale, farro, avena, è obbligatoria una corretta dieta per la celiachia. Nei malati di celiachia, il glutine esercita infatti un'azione dannosa sull'intestino, alterando la struttura e le funzionalità delle pareti intestinali. L’incidenza della celiachia in Italia è di circa l'1% della popolazione. I celiaci in Italia sarebbero quindi potenzialmente 400 mila, ma ne sono per ora stati diagnosticati solo 65 mila. Ogni anno vengono effettuate 5000 nuove diagnosi ed ogni anno nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento annuo del 9%. La dieta per la celiachia, ovvero la dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia che garantisce al malato di celiachia un perfetto stato di salute. Seguire una dieta priva di glutine significa certamente cambiare stile di vita per eliminare tutti gli alimenti derivati da grano, orzo, segale, farro, avena. Esistono oggigiorno sul mercato molti prodotti sostitutivi, che portano la specifica dicitura gluten free, molti dei quali contengono farine e altri derivati delle patate, del riso, della soia o di altri legumi.

La celiachia può manifestarsi nel bambino all'età dello svezzamento, o nell'adulto. Nel bambino si manifesta in modo grave in quanto il malassorbimento causa ritardo dell'accrescimento, rachitismo, carenza di ferro con anemia e spossatezza,diarrea, vomito. Nell'adulto si ha dimagrimento, osteoporosi, anemia e spesso dermatite erpetiforme.

Per risolvere la celiachia si deve eliminare totalmente il glutine dalla dieta e quindi tutti i cibi e gli alimenti contenenti farine di frumento, orzo, segale, avena; gli unici cereali che non contengono glutine sono riso, mais e tapioca. Esistono in commercio alimenti per celiaci e sono contraddistinti da un simbolo, la spiga sbarrata. Non si deve infine dimenticare che molti prodotti contengono amido di frumento, ad esempio prodotti in scatola, salumi, gelati, surgelati, cibi precotti ed anche alcuni farmaci.


venerdì 1 ottobre 2010

I grassi idrogenati







I grassi idrogenati sono grassi ottenuti mediante il processo di idrogenazione; il grasso così ottenuto ha qualità completamente differenti dal grasso di partenza.


In campo alimentare l'idrogenazione trasforma acidi grassi polinsaturi in altri grassi; storicamente, la margarina è il grasso idrogenato per eccellenza.I "vantaggi" dell'idrogenazione sono evidenti:
§ solidità - Si può ottenere un grasso solido (surrogato per esempio del burro) a partire da oli; i grassi solidi sono molto utilizzati nei prodotti da forno (si pensi a biscotti, brioche, crostate ecc.).
§ Lunga scadenza - I grassi idrogenati si degradano meno facilmente rispetto ai grassi naturali: così una brioche prodotta con margarina può avere data di scadenza a un anno quando la stessa prodotta con burro avrebbe data di scadenza di pochi mesi. Per il gusto? Basta aggiungere aromi e il gioco è fatto. Pensateci la prossima volta che al bar ordinerete una brioche senza sapere con che ingredienti è fatta!
§ Costi - I grassi idrogenati costano meno e quindi è possibile ottenere prodotti molto competitivi; tale caratteristica amplia l'impiego dei grassi idrogenati a campi in cui i precedenti due presunti vantaggi non sono in fondo determinanti. Si pensi per esempio alla gelateria in cui con grassi idrogenati, aromi e coloranti si possono ottenere decine di gusti da offrire al cliente a costi molto bassi (o a costi "normali", spacciando il prodotto per genuino e artigianale con ricarichi enormi).
Meno interessante la caratteristica di un'ottima stabilità alla temperatura; infatti anche oli semplicemente raffinati (che comunque contengono una piccola percentuale di grassi trans) hanno alti punti di fumo; nei fast food e negli esercizi di ristorazione di bassa qualità si utilizzano (anzi, si dovrebbe dire si riutilizzano più volte!) oli raffinati più che oli idrogenati.








Tutti gli acidi grassi sono costituiti da una catena di atomi di carbonio ai quali sono legati atomi di idrogeno. Negli acidi grassi saturi tra gli atomi di carbonio c'è un solo legame. Questo fa sì che la molecola abbia una forma pressoché lineare e sia anche libera di ruotare sul proprio asse. Gli acidi grassi insaturi invece hanno uno o più doppi legami che limitano la rotazione e bloccano quindi la posizione della molecola. Quindi un acido grasso monoinsaturo, che ha un solo doppio legame, può esistere in due forme, definite isomeri. La forma cis, quella comunemente presente in natura, ha le due parti della catena di atomi di carbonio piegate l'una verso l'altra, nella forma trans la catena è invece quasi lineare. Gli acidi grassi trans quindi, pur essendo insaturi, hanno una conformazione e un comportamento simile a quello degli acidi grassi saturi. Di conseguenza, nel nostro organismo, hanno gli stessi effetti dannosi dei grassi saturi. Ma se vengono incorporati nella membrana cellulare, avendo una conformazione diversa dai normali grassi insaturi, fanno anche di peggio, ne alterano la funzionalità. Abbiamo già detto che in natura gli acidi grassi sono quasi esclusivamente nella forma cis. La conformazione trans si forma durante i processi di idrogenazione di oli vegetali insaturi. Questo processo serve a produrre la margarina e consiste nell'aggiungere atomi di idrogeno alla molecola rendendo saturi gli acidi grassi insaturi. In questo modo dagli oli liquidi si ottengono dei grassi solidi. Una delle differenze tra grassi saturi e insaturi infatti è proprio nella consistenza: a temperatura ambiente i saturi sono solidi, gli insaturi sono invece liquidi. Gli acidi grassi trans, pur essendo monoinsaturi, per la loro conformazione sono solidi come i saturi. Quindi, quando sull'etichetta di un prodotto si trova la dicitura "grassi idrogenati" o "grassi vegetali idrogenati" si tratta di grassi ottenuti con questo processo e che contengono acidi grassi trans. Alla luce di tutto questo risulta evidente che tutti quei suggerimenti propinati in passato a favore della margarina sono completamente falsi. Se un nemico c’è, questo non è tanto nel "famigerato" burro, ma proprio nella “sana” e “leggera” margarina e negli "innocui" grassi idrogenati.

A fronte dei citati presunti vantaggi, salutisticamente c'è purtroppo uno svantaggio che deve bocciare senza appello il processo industriale dell'idrogenazione: alcuni legami passano dalla forma cis alla forma trans. Ormai da anni si sa che i grassi trans sono nocivi per la salute, aumentando soprattutto il rischio cardiovascolare.
A seguito dell'azione dei gruppi salutisti, recentemente alcuni Paesi hanno posto restrizioni sull'uso di grassi trans e quindi di grassi idrogenati, ma la qualità dei prodotti è migliorata solo di poco per il ricorso massiccio a generici grassi vegetali ottenuti per raffinazione, frazionamento o interesterificazione.


Alimenti a rischio di grassi idrogenati

Cracker e grissini

Creme spalmabili

Dessert, budini e mousse

Dolci, biscotti, merendine e prodotti di pasticceria

Farciture per primi e secondi piatti (surgelati) e dolci (per esempio panettoni farciti, cioccolatini farciti ecc.)

Gelati

Margarina

Preparati per cioccolate, dolci, paste sfoglie ecc.

Semifreddi..

giovedì 30 settembre 2010

I disturbi del comportamento alimentare



I disturbi del comportamento alimentare si manifestano con grossi squilibri nel modo di mangiare (comportamento alimentare).
Le persone con questi problemi non riconoscono i segnali di fame e sazieta' e quando mangiano, non lo fanno per esigenza fisica, ma per colmare stati psicologici come tristezza, stanchezza, ansia....
Si sentono spesso come governati da forze esterne e non hanno il controllo dei loro bisogni o impulsi.
Nonostante il disagio provocato dalla loro difficolta' a relazionarsi con il cibo, non riescono a cambiare atteggiamento. Normalmente, una persona sana mangia quando sente fame e smette quando e' sazia, prova generalmente soddisfazione nel mangiare e lo fa regolarmente.
Una persona con problemi alimentari, non riesce a collegare il suo bisogno di mangiare con le sue sensazioni, e controlla l'assunzione di cibo tramite diete o calcoli delle calorie.
Mangia non per fame ma per diminuire lo stress, il dolore, l'angoscia, la solitudine, la noia, la vergogna ecc... oppure per modificare la linea.
Mangia in maniera irregolare e caotica, senza mezze misure (o troppo o troppo poco), spesso salta i pasti.


POSSIBILI CAUSE:

  • Incapacita' di distinguere la fame dalla sazieta' o da altre sensazioni
  • Problemi del controllo degli impulsi
  • Innaturale modello di magrezza
  • Tendenza eccessiva a voler piacere agli altri
  • Scarsa fiducia in se' stessi, insicurezza
  • Bisogno di ridurre ansia, depressione, solitudine...
  • Vi sono fattori genetici che rendono piu' predisposti ai Disturbi del Comportamento Alimentare
  • Esistono tratti di personalità che facilitano l'insorgere di questi disturbi
SINTOMI:
  • Avere fame e non mangiare
  • Mangiare e non riuscire a fermarsi
  • Vomitare dopo aver mangiato molto
  • Non riconoscere la fame fisica
  • Preoccupazione eccessiva riguardo al proprio peso
  • Paura esagerata di ingrassare
  • Essere troppo magri o in sovrappeso

I principali disturbi del comportamento alimentare, sono l'anoressia e la bulimia.



Anoressia

Disturbo del comportamento alimentare che porta chi ne soffre a diminuire drasticamente il cibo nella propria alimentazione, per raggiungere un ideale di magrezza mai sufficiente. Risulta estremamente sottopeso.
Bulimia

Disturbo del comportamento alimentare che porta chi ne soffre a mangiare troppo ed in maniera veloce grosse quantita' di cibo, per poi prevenire l'aumento del proprio peso provocandosi il vomito o abusando di lassativi e diuretici.

Teorie biologiche dei disturbi del comportamento alimentare (DCA)

Bisogna distinguere tra i fattori biologici che fanno nascere i disturbi alimentari e le anomalie biologiche che risultano dalla malattia.

  1. Fattori genetici: studi su famiglie e su gemelli suggeriscono che vi è una diatesi genetica sia per l’anoressia che per la bulimia; nell’anoressia vi è il 50% di concordanza tra i gemelli monozigoti e il 7% nei gemelli dizigoti, mentre nella bulimia nervosa vi è il 23% di concordanza tra i gemelli monozigoti e il 9% nei gemelli dizigoti. Sebbene questi studi suggeriscano che certi individui possano essere geneticamente predisposti ai disturbi alimentari, il meccanismo non è ancora compreso. Una predisposizione genetica non significa che una persona è destinata a sviluppare un disturbo alimentare, ma piuttosto che ha un maggior rischio se è presente l'ambiente culturale e psicologico giusto.
  2. Fattori neuroendocrini: il sistema neuroendocrino (ipotalamo, ipofisi e ghiandole endocrine) è stato per molti anni considerato una “finestra” per poter osservare il funzionamento cerebrale. Per un certo periodo di tempo si è pensato che anomalie neuroendocrine (quali bassi livelli di estradiolo, ridotta secrezione dell’ormone luteinizzante e follicolo-stimolante, alti livelli di ormone della crescita) fossero cause potenziali nell'insorgenza di disturbi nel comportamento alimentare. Ora è stato chiarito che, per la maggior parte, sono delle conseguenze della malnutrizione piuttosto che marcatori di tratto preesistenti.
  3. Neurotrasmettitori e neuropeptidi: i neurotrasmettitori, come noradrenalina e serotonina, regolano l’appetito, il senso di sazietà e il tono dell’umore. I livelli anomali dei neurotrasmettitori e dei loro metaboliti sono stati evidenziati nel sistema nervoso centrale (SNC) e nella circolazione periferica nelle pazienti con disturbi alimentari e in alcune pazienti guarite. I sistemi serotoninergici e noradrenergici nelle pazienti con bulimia e con anoressia sembrano essere ipoattivi.
  4. Fatori culturali: i mezzi di comunicazione di massa bombardano il pubblico con immagini di corpi perfetti, con l'implicazione che è questo e soltanto questo, che garantisce la felicità e la soddisfazione. Le immagini delle donne fornite dai mass media suggeriscono che l'apparenza esterna è assai più importante dell'identità della persona. Un’importante caratteristica epidemiologica dei disturbi alimentari è che sembrano essere limitati a certe culture, verificandosi in primo luogo nei paesi sviluppati del Nord America e dell'Europa, così come in Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Il rischio di malattia può essere correlato al grado di assimilazione di una persona alla cultura dominante in un Paese. Sebbene i disturbi alimentari siano comunemente considerati come malattie della classe media e alta delle donne bianche, gli studi hanno documentato in modo crescente la presenza di disturbi del comportamento alimentare (DCA) tra le donne delle minoranze e delle varie classi sociali.
  5. Fattori psicosociali: nella letteratura, per quanto riguarda l’anoressia nervosa, vengono sottolineate: caratteristiche familiari tipiche: inglobamento, iperintrusione dei familiari, l’iperprotezione dei genitori nei confronti dei figli, la rigida adesione ai ruoli nella famiglia e l’evitamento di conflitti aperti. Conflitto inconscio tra dipendenza e separazione o individuazione rifiutando il cibo, che dovrebbe nutrire il corpo, la paziente blocca le sue capacità di diventare una donna adulta e indipendente.



martedì 28 settembre 2010

Cereali si, ma integrali!

I cereali sono semi di piante appartenenti alla famiglia delle graminacee quali frumento, segale, riso, avena e orzo, che da migliaia di anni costituiscono la base dell’alimentazione umana. In epoca preindustriale, i cereali venivano generalmente consumati interi, ma gli avanzamenti nei processi di molitura e lavorazione consentirono la separazione e la rimozione su larga scala della crusca e del germe e la produzione di farine raffinate ottenute principalmente dall'endosperma, ricco di amido. Le farine raffinate divennero popolari perché i prodotti da forno che le contengono hanno una consistenza più soffice e durano più a lungo. La crusca e il germe, tuttavia, contengono sostanze nutritive importanti, che vanno perdute con la raffinazione.
Oggi, è sempre più diffusa la consapevolezza che i cibi preparati con cereali integrali possono contribuire significativamente a migliorare il nostro stato di salute e il nostro benessere e che il chicco “completo” offre vantaggi dal punto di vista nutrizionale. Le ricerche dimostrano che il consumo regolare di cereali integrali nell'ambito di una dieta bilanciata può ridurre il rischio di insorgenza di disturbi cardiaci, di taluni tipi di cancro e del diabete di tipo 2, oltre a contribuire alla gestione del peso corporeo.
Cosa significa “integrale”?
Ogni chicco è costituito da tre sezioni distinte: la crusca esterna, ricca di fibre, il germe interno, ricco di micronutrienti, e l'endosperma, ricco di amidi. I cereali “integrali” comprendono tutte e tre le componenti del chicco e possono essere consumati interi, frantumati, spaccati, in fiocchi o macinati. Molto spesso i cereali integrali vengono ridotti in farina e utilizzati per fare pane, fiocchi per la colazione, pasta, cracker e altri prodotti. A prescindere da come viene lavorato il cereale, il prodotto integrale dovrà conservare approssimativamente la stessa proporzione di crusca, germe ed endosperma presente nel chicco originario.
Anatomia del chicco integrale
Chicco_integrale
Crusca: involucro stratificato esterno al chicco che aiuta a proteggere l'interno dalla luce solare, dai parassiti, dall'acqua e dalle malattie. Contiene fibre, importanti antiossidanti, ferro, zinco, rame, magnesio, vitamine del gruppo B e fitonutrienti.
Germe: l'embrione che, se fecondato dal polline, darà vita a una nuova pianta. Contiene vitamine del gruppo B, vitamina E, antiossidanti, fitonutrienti e grassi insaturi.
Endosperma: la riserva energetica del germe, destinata ad apportare nutrienti essenziali alla futura giovane pianta. L'endosperma, che costituisce la parte più ampia del chicco, contiene carboidrati sotto forma di amidi, proteine e tracce di vitamine e sali minerali.

Fonte dell'imagine: http://wbc.agr.mt.gov/Consumers/diagram_kernel.html

I cereali integrali possono essere un alimento in sé, come la farina d'avena (porridge), il riso bruno, l’orzo o il mais (popcorn), o venire utilizzati come ingredienti all’interno di un alimento, come la farina integrale nel pane o nei cereali per la colazione. I prodotti integrali reperibili sul mercato comprendono il frumento integrale, l'avena/la farina d'avena integrale, la farina di mais integrale, il mais (popcorn), il riso bruno, la segale integrale, l’orzo integrale, il riso selvatico, il grano saraceno, il triticale, il bulgur (frumento frantumato), il miglio, la quinoa e il sorgo. Tra i prodotti meno comuni figurano l’amaranto, il farro, il grano duro perlato e la spelta.
Assunzione di cereali integrali
Le ricerche suggeriscono che sia possibile ottenere benefici per la salute anche con un consumo modesto di cereali integrali (generalmente da una a tre porzioni al giorno), sebbene molte persone non raggiungano tali quantitativi. Tra le barriere specifiche al consumo dei cereali integrali figurano la mancata conoscenza del prodotto e dei suoi benefici per la salute, le difficoltà che alcuni consumatori incontrano nell'identificare gli alimenti a base di cereali integrali, la percezione del sapore di questi prodotti e il loro costo.
Nel Regno Unito, un terzo circa degli adulti e il 27% dei bambini non consumano alcun cereale integrale e solo il 5-6% della popolazione raggiunge le tre porzioni giornaliere. Allo stesso modo, negli Stati Uniti, secondo una recente relazione del Dipartimento dell’Agricoltura (USDA), solo il 7% degli americani raggiunge le tre porzioni di cereali integrali al giorno.
Al contrario, nei paesi scandinavi l’assunzione giornaliera di cereali tende a essere superiore, soprattutto per la presenza costante del pane integrale di segale nell'alimentazione. Sebbene il raffronto tra gli studi sia ostacolato dalle differenze a livello di misurazione, i dati suggeriscono che il consumo in Norvegia sia quadruplo rispetto al Regno Unito e ancora più elevato in Finlandia. Gli uomini sembrano assumere più cereali integrali rispetto alle donne, ma ciò potrebbe essere imputabile semplicemente al maggiore quantitativo di cibo ingerito. Nel Regno Unito la maggiore assunzione di cereali integrali è legata a livelli superiori di istruzione e reddito, mentre in Finlandia il consumo maggiore di pane di segale è stato osservato tra le fasce sociali inferiori3.
Non solo fibre
I cereali integrali sono ricchi di fibre, ma, sebbene da tempo siano noti i benefici di queste ultime per la salute del cuore e dell'intestino, sembra che essi svolgano un ruolo protettivo che va ben oltre quello della fibra. Gli studi evidenziano infatti che nelle donne gli effetti salutari dei cereali integrali nei confronti dei disturbi cardiaci sono superiori a quelli legati alle fibre, mentre negli uomini una quota significativa della funzione protettiva è riconducibile alla componente fibrosa o crusca.
I benefici dei cereali integrali sono ampiamente associati al consumo di tutte le loro sostanze nutritive, che comprendono vitamine (gruppo B e vitamina E), sali minerali (ferro, magnesio, zinco, potassio, selenio), acidi grassi essenziali, fitochimici (sostanze fisiologicamente attive di piante che recano benefici funzionali alla salute) e altri componenti bioattivi. Molte delle sostanze benefiche si trovano nel germe e nella crusca e comprendono amidi resistenti, oligosaccaridi, inulina, lignani, fitosteroli, acido fitico, tannini, lipidi e antiossidanti, come gli acidi fenolici e i flavonoidi. Si ritiene che tali nutrienti e altri composti, se consumati insieme, abbiano un effetto additivo e sinergico sulla salute.

venerdì 24 settembre 2010

OMEGA 3





Si parla molto di Omega 3 in trasmissioni televisive o su riviste come dei componenti salutari dei nostri alimenti, ma pochi spiegano con precisione cosa siano realmente, che benefici forniscano al nostro organismo e dove si trovino.
Tecnicamente gli Omega 3 sono acidi grassi polinsaturi che, dal punto di vista chimico, hanno la caratteristica di possedere un doppio legame in posizione 3 (omega 3) o in posizione 6 (omega 6), della catena che li forma. Sono tecnicamente definiti EPA (acido eicosapentaenoico), e DHA (acido docosaesaenoico). Questi acidi hanno dei precursori, cioè delle sostanze che dopo l'introduzione nel nostro organismo vengono trasformati, nello specifico l'acido linoleico è il precursore dell'acido grasso omega 6, mentre l'acido linolenico è il precursore dell'acido grasso omega 3. Gli omega 3 e 6 sono acidi grassi essenziali: con questo termine si intende che il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli, e quindi l'introduzione attraverso la dieta è assolutamente fondamentale. Per ciò che concerne le funzioni biologiche nell'organismo umano, si evidenzia dalle più recenti acquisizioni e studi scientifici, condotti su questo argomento, è possibile sostenere che, tra gli effetti protettivi degli omega 3 i più rilevanti sono sicuramente:
azione antiaggregante piastrinica (effetto antitrombotico), cioè ridurrebbero la possibile formazione di coaguli nel sangue.
controllo del livello plasmatico dei lipidi, soprattutto dei trigliceridi.
controllo della pressione arteriosa , mantenendo fluide le membrane delle cellule, e dando elasticità alle pareti arteriose.
Gli effetti principali sono soprattutto legati alla protezione del cuore e del sistema circolatorio, aspetto positivo già evidenziato dagli studi epidemiologici iniziati intorno agli anni' 70. In quegli anni furono studiati gli "Inuits" una popolazione eschimese che si cibava prevalentemente di pesce proveniente dalle coste della Groenlandia e del Giappone, già allora emerse molto chiaramente un'incidenza particolarmente bassa di malattia all'appararto cardiovascolare, correlata a quel tipo di alimentazione "marittima".
Recentemente si stanno estendendo gli studi sugli omega 3 anche nell' ambito della nutrizione neonatale, dove un'introduzione quantitativamente adeguata di questi acidi sarebbe importante per favorire lo sviluppo del bambino. Esistono inoltre, studi preliminari, dove si controlla l'applicazione degli omega 3 sul morbo di Crohn (patologia a carico dell'apparato intestinale): l'effetto studiato sarebbe legato all'attività antinfiammatoria di queste importanti sostanze. Per rimanere in tema di ricerche su questo argomento è importante ricordare che nel 1999 è stato pubblicato sul "The Lancet " un'importante studio iniziato nel 1996 su 11324 pazienti colpiti da infarto miocardico, il quale ha dimostrato che, la somministrazione di un farmaco a base di acidi grassi polinsaturi omega 3 ai pazienti colpiti da infarto riusciva a ridurre considerevolmente la mortalità legata a questa patologia.

In sintesi, queste ricerche hanno riscontrato che, la somministrazione quotidiana di un farmaco contenente un grammo di acido grasso omega 3 associata, ovviamente, a un regime dietetico equilibrato (contenente un buon quantitativo di pesce), è importante per curare i problemi di tipo cardiovascolare.
Esistono in commercio degli alimenti a cui è stata aggiunta una sostanza in più (ad esempio degli omega 3) rispetto alla composizione originaria; si tratta di cibi "funzionali", chiamati dagli americani "nutriceutical", ovvero prodotti che si posizionano al confine tra l'alimento e il farmaco. Ne sono un esempio il latte arricchito in omega 3 cosi come le uova addizionate delle stesse sostanze, l'importante è che al momento dell'acquisto il consumatore legga attentamente l'etichetta la quale riporterà l'intera composizione comprese le integrazioni.
Ma per mantenere il benessere del nostro organismo cosa è più corretto fare?
E' consigliabile seguire un'alimentazione varia ed equilibrata caratterizzata da armonia sia qualitativa che quantitativa tra i singoli nutrienti. Per favorire l'introduzione degli omega 3 è opportuno consumare dalle 2 alle 3 porzioni settimanali di pesce, la cui tipologia potrà variare tra le seguenti: sgombro, merluzzo, pesce spada, tonno, trota. sardina e aringa, altre fonti di omega 3 sono i cereali, le noci, i legumi e l'olio di lino. Per quanto riguarda le tipologie di cottura più indicate, perché il pesce possa mantenere inalterate le sue benefiche proprietà, le migliori sono sicuramente: al forno, in umido o alla griglia.
Una considerazione da non sottovalutare mai è che un'attività di prevenzione rivolta alle malattie cardiovascolari deve primariamente concentrarsi sulla dieta equilibrata, e parallelamente sulla eliminazione dei fattori di rischio (fumo, obesità e sedentarietà). La società occidentale essendo caratterizzata da un consumo scarso di pesce è maggiormente esposta alle malattie cardiovascolari rispetto a tutte quelle popolazioni (ad esempio quelle orientali) che hanno abitudini alimentari diverse, ecco perché l'indicazione ad un aumento del consumo di pesce è fondamentale. I composti farmacologici a base di omega 3 possono rappresentare una aiuto soprattutto nei casi in cui l'alimentazione è particolarmente deficitaria, ma in linea di massima è possibile dire che, attraverso una dieta di tipo mediterraneo, caratterizzata dalla presenza di frutta, verdura, pesce, olio extra vergine di oliva ecc, la fonte di vitamine, sali minerali, proteine nobili e ovviamente omega 3 è assicurata.

Bibliografia
Agostoni C, Bruzzese Mg: gli acidi grassi:classificazione biochimica e funzionale. Ped Med. Chir 1992;14 473-479
Agostini C, Riva E, Biasucci G: Acidi Grassi nella prevenzione e nella terapia in pediatria. Ped, Med, Chir. 1992
Nestel P. J. Fish and cardiovascular disease: lipids and arterial function: Am J Clin

L'attivita' fisica contro il sovrappeso





Un esercizio fisico regolare, oltre ad aumentare complessivamente il dispendio energetico, determina un'accelerazione del metabolismo, tende a diminuire l'appetito e a migliorare le condizioni generali di forma e di benessere. Il conseguente aumento della massa magra che, dal punto di vista metabolico, è più efficiente della massa grassa nella combustione delle calorie, porta nel tempo ad una riduzione ponderale, a differenza di un'attività sportiva intensa e a breve termine che non fa dimagrire perché stimola l'appetito

Andare in bicicletta, camminare, nuotare, fare step o sport di squadra sono attività aerobiche, cioè attività che permettono al nostro muscolo di lavorare in condizioni di massima ossigenazione. Questi sport aiutano a smaltire il grasso perché sollecitano l'attività muscolare in modo dolce ma per tempi piuttosto lunghi: per far fronte a questo lavoro continuo, vengono di conseguenza intaccate le riserve adipose. Al contrario, l'attività anaerobica (sollevamento pesi, corsa veloce, body building,..), essendo un'azione di sforzo intenso e limitato, richiede energia più immediata, fornita dagli zuccheri e non dai grassi. L'ideale, comunque, sarebbe alternare i due tipi di attività.
In linea generale un'attività motoria svolta costantemente due o tre giorni alla settimana aiuta a smaltire parte delle calorie introdotte con gli alimenti ed è in grado di garantire dei buoni risultati in termini di calo ponderale. Naturalmente le possibilità di successo aumentano se l'attività motoria regolare si associa ad una dieta ipocalorica. Infatti non si può contare solo sull'esercizio fisico regolare e costante per ottenere un calo di peso: le calorie spese per una passeggiata di un'ora a ritmo veloce equivalgono a due fettine di pane imburrato.








Bibliografia

Berke EM and Morden NE. Medical management of obesity. American Family Physician 2000; 62:419-426.
Dickerson LM and Carek PJ. Drug terapy for obesity. American Family Physician 2000; 61:2131-2143.

giovedì 23 settembre 2010

obesita' infantile






L'obesità infantile è un problema di notevole rilevanza sociale. Il fenomeno, denunciato a gran voce dai più autorevoli nutrizionisti (in Italia colpisce un bambino su quattro) è il risultato di un bilancio energetico positivo protratto nel tempo; in pratica si introducono più calorie di quante se ne consumano. La definizione di sovrappeso/obesità nel bambino è più complessa rispetto all’adulto, il cui peso ideale è calcolato in base al BMI (Body Mass Index o Indice di Massa Corporea = peso in Kg diviso l'altezza in metri, al quadrato). In attesa di trovare dei parametri di riferimento più adeguati, il BMI è stato proposto anche per i più piccoli. Pertanto si definisce obeso un bambino il cui peso supera del 20% quello ideale; in soprappeso se supera del 10-20%, oppure quando il suo BMI è maggiore del previsto. La crescita ponderale del bambino si calcola facendo riferimento alle tabelle dei percentili, grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza dei bambini, distinti per sesso ed età. La crescita è nella norma se si pone intorno al 50° percentile. Più si supera il valore medio più aumenta il rischio obesità.Ci sono mamme che passano ore in palestra, praticano jogging, bilanciano le calorie della propria dieta in maniera eccessiva, ricorrono in casi estremi alla chirurgia plastica per eliminare accumuli di grasso e cellulite, ma paradossalmente non si accorgono dei chili di troppo dei loro figli: è sufficiente questa valutazione per decidere di affrontare il problema.






mercoledì 5 maggio 2010

Plicometria


La plicometria è un sistema di misurazione che, grazie a uno strumento denominato plicometro, permette di ottenere indicazioni sulla massa corporea di un soggetto in termini di massa grassa e massa magra. Il plicometro è costituito sostanzialmente da una pinza che aderisce alle pliche sottocutanee e da una ghiera graduata che serve a misurare la distanza fra le punte.

martedì 4 maggio 2010

i gruppi alimentari


Nessun alimento in natura contiene da solo tutte le sostanze nutritive indispensabili. Il modo migliore per assicurarci che la nostra dieta li contenga tutti, e nella giusta quantità per il nostro corpo e per il tipo di attività che svolgiamo, è allora quello di variare il più possibile l'alimentazione, mangiando molti cibi diversi. Come fare, però, per sapere se stiamo variando in modo corretto la nostra alimentazione? Per rispondere a questa domanda, gli esperti dell'Istituto Nazionale della Nutrizione hanno individuato sette gruppi fondamentali di alimenti, che ci danno ottime indicazioni. Naturalmente, il fatto che alimenti diversi facciano parte di uno stesso gruppo non significa che abbiano lo stesso valore nutritivo. Significa solo che hanno gli stessi principi alimentari (ad esempio, le proteine nel caso della carne e del pesce, la vitamina A nella frutta e verdura di colore giallo o arancione). Se vuoi che la tua alimentazione sia davvero equilibrata, mangia ogni giorno almeno un alimento di ognuno di questi sette gruppi.